L'ironia è dinamica

L'ironia è dinamica

sabato 30 aprile 2011

A TRIBUTE


“Città del deserto”
Diario libico
41. La via di Ghirza

[ Pagg. 50-51 ]
«Rimasi quasi turbato, perché veramente entro la linea blanda, rilassata dell’orizzonte in circolo non c’era lontananza e non c’era vicinanza: era come trovarsi sempre nel medesimo posto e, per spostarsi che si facesse, non cambiava. Un vento fresco, lungo, senza quasi respiro, rendeva l’aria leggera ancorché il sole fosse aspro. Io mi meravigliai di quel vento, e chiesi se era sempre così nel deserto. A poco a poco si sgretolava l’immagine casalinga che io mi ero fatto del deserto, come se non ci dovesse essere mai vento, e l’aria soffocante e immobile. Negli occhi mi restavano le dune profonde e maestose che il cinematografo ci ha abituato a considerare il deserto, e infatti, quando avevo attraversato l’Anatolia, nella Licaonia, e avevo visto i laghi salati e mi avevano assicurato che quello là era il deserto, io avevo dubitato. Non c’era sabbia, spuntava sempre qualche cespuglio e all’orizzonte si succedevano delle alture: infine, per quanto brutta, continuava la strada. Si aveva, allora, il senso di una terra spopolata che il disboscamento, quindi un intervento umano, aveva reso brulla, ma il deserto doveva essere altra cosa. Ora mi ci trovavo, ora non potevo più dubitarne; eppure continuavo a interrogare me stesso sul perché di quella accettazione del deserto, in forme così diverse da come l’avevo immaginato. D’altronde era avvenuto un distacco che poteva assomigliarsi a quando si coglie un fiore o un frutto dalla pianta. Rimane lo stesso fiore o lo stesso frutto, ma nulla al mondo lo potrà far riaderire al gambo tagliato. Ebbene io rimanevo lo stesso, sicuramente, ma quel vagare su un fondo brullo e sassoso, senza direzioni, con un orizzonte sempre spostato e sempre identico, aveva determinato come una cesura con la mia vita di poco prima. Tutto quello che nell’animo infantile era stato il mio disperato rimorso o il disperato anelito che qualcosa di accaduto non fosse accaduto, si trovava ora raggiunto con un’operazione indolore, senza spargimenti di lacrime o di sangue. Io mi sentivo tagliato fuori da me stesso, pur rimanendo me stesso: e come se il mio passato si fosse fermato alla strada dove questa si era arrestata. Su una pista ondeggiante, insicura, continuava la mia vita, ma questa vita era diventata ad un tratto leggera a portarsi, come se fosse stata svuotata di tutto il suo peso dall’interno. Non era gioia, quella, non era piacere: ma appunto un distacco lucido, senza passione e senza rimpianto. I miei affetti non erano morti, i miei desideri non erano sfumati, ma vorrei dire che mi sentivo accanto agli affetti e ai desideri, presso di essi, non dentro di essi. Non una distanza, ma una mancanza di continuità mi separava da loro. Sicché cosa restava di me, se non l’occhio pacato che guardava intorno senza essere attirato da nulla: che cosa restava, se non questo dilagare della mia vita come una superficie estesa e inestesa al tempo stesso, le cui dimensioni reali non venivano da altro rapporto che dal rapporto che io creavo, insistendo sul suolo. Io divenivo naturalmente, senza enfasi alcuna, il centro stesso dell’universo; e ogni posto dove mi posassi o mi spostassi automaticamente diveniva quel centro, ed io l’albero della vita. Come tutto ciò, con lucidità remissiva, si conciliasse a questa vita ridotta al solo pensiero che pensava se stesso, io non sapevo ancora spiegarmi, ma sentivo che l’avrei saputo; maturerebbe segretamente. Una rivelazione che non poteva rivelare nulla che già non sapessi, e tuttavia rivelazione. »
Cesare Brandi

venerdì 29 aprile 2011

LA MODERNITA’ È UN “MUST”?


Alto e glorioso Dio
illumina il cuore mio,
dammi fede retta, speranza certa,
carità perfetta.
Dammi umiltà profonda,
dammi senno e cognoscimento,
che io possa sempre servire
con gioia i tuoi comandamenti.
Rapisca ti prego Signore
l’ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose,
perché io muoia per amor tuo,
come tu moristi per amor dell’amor mio.

San Francesco d’Assisi

giovedì 28 aprile 2011

CAMBIARE LINEA


« La paura nella vita è la paura del cambiamento. Niente può evitare il cambiamento. È la sola cosa su cui puoi contare. Perché la vita non ha altra possibilità, ognuno può essere giudicato in base alla sua adattabilità ai cambiamenti . »

Robert Rauschenberg

mercoledì 27 aprile 2011

SPEEDING


« Generalmente lavoro su una certa cosa fino a che non imparo come farla, e a quel punto mi fermo. »

Robert Rauschenberg

martedì 26 aprile 2011

BOMBA O NON BOMBA


GUGLIELMIADI 5.

 
“Non ci posso credere”.
“A cosa?”.
“Ieri ho cucinato tutto il pomeriggio e non dico altro …”.
“Posso capire ma …”.
“Ve bene, allora dico altro. Ho indossato una scollatura vertiginosa”.
“Un abito nero a pois rossi con volant. Quando te l’ho visto …? A Capodanno, sì, quando abbiamo ballato il tango a Madrid. Bello, forse troppo pomposo. Le scarpe con i tacchi ti slanciavano ma zoppicavi, sembrava avessi una distorsione alla caviglia. La veletta … il neo disegnato sullo zigomo … barocco!”.
“Insomma, apro la porta – stiamo parlando della sera del nostro quarto anniversario – e ti vedo in tuta, con le ciabatte infradito, in compagnia di tuo cugino? Complimenti, perfetto, magnifico, ti sposo un’altra volta subito, domani!”.
“Sì … ma poi ti ho spiegato”.
“Non mi interessa”.
“Perché ti soffermi sulle ciabatte infradito?”.
“Non ti ho mai visto con i piedi scoperti se non al mare”.
“Le ciabatte assolvono alla funzione di assimilarmi, esteticamente parlando, al popolo nord africano. E ti sto pure a dare spiegazioni … Amhed tornerà la prossima settimana a Parigi. Si è impegnato a ospitare per 10 giorni quattro tunisini provenienti da Manduria. Lo sai bene. Migranti, clandestini, profughi o rifugiati come dir si voglia, insomma ‘loro’, è andato lui stesso a prenderli”.
“Si trovavano al piano terra, davanti l’ascensore”.
“Non sono saliti però. Hanno aspettato educatamente seduti per le scale”.
“Che pasticciaccio!”.
“Leggi Gadda?”.
“No! I condomini hanno immediatamente telefonato all’amministratore e da stamattina c’è un cartello sulla finestra del nostro pianerottolo: siamo invitati a rispettare la quiete e la serenità di chi abita nel nostro palazzo”.
“Chi abita nel nostro palazzo … ecco, chi abita nel nostro palazzo? Gente che fa riunioni di continuo per discutere di questioni come la sanzione pecuniaria per il proprietario di immobile che non rispetta il suo turno di giardinaggio nel cortiletto interno. Figurati un pò! Per darsi un tono di rispettabilità e amabilità sociale questi signori si dedicano alle piante senza delegare - rara eccezione - a chicchessia”.
“Guglielmo, siamo in Collina Fleming, in un quartiere più che benestante di Roma. Dovresti rallegrarti della lussureggiante oasi verde nella corte interna! E poi non devi dire ‘la gente’. A volere il nostro esilio a Chernobyl sono soltanto: i De Santis, i Capuleti, gli Archibugi e i Mercuzio”.
“I Saporosi e gli Operosi no? Credevo anche loro”.
“Sarebbe un complotto, non voglio crederlo! … Ah ci sono anche gli Odorosi, quelli sono proprio pestiferi”.
“Va detto che le politiche dell’immigrazione equivalgono a un altissimo rischio. I profughi sono fondamentalmente degli intrusi, una potenziale offesa e minaccia al patrimonio, alla proprietà. Se pensi che qualcuno potrebbe mangiare i frutti degli alberelli nelle piccole aiuole erbose tra le lastre a casellario di marmo, o bere un po’ d’acqua sotto il gazebo in legno esotico con la copertura di edera - di ridotto ingombro - o riposarsi sul lettino in alluminio rivestito con fibra sintetica beh! Ti passa la voglia di fare un’opera buona! Chi l’ha comprato poi il lettino? Il commendatore dell’ultimo piano vero? Insomma via le persone povere e maleodoranti, c’è un motivo ragionevole in fondo. Ma per i mal pensanti, come si dimostra la caccia all’untore, la caccia alle streghe, insomma la caccia?”.
“Hai armato una lite sol perché non sopporti Amhed”.
“Il giorno del nostro matrimonio aveva un ghigno feroce sul viso. E tutto perché non sono di fede islamica”.
“Questo non lo puoi proprio dire: neanche io sono di fede islamica!”.
“Sai benissimo che è sulla donna che si concentrano tutte le aspettative del parentado. La famiglia dello sposo ha sempre le pigne in testa!”.
“Mio cugino convive con una bionda ossigenata di Las Vegas, l’ha conosciuta al tavolo del poker un mese fa. E già che ci siamo, ti ricordo che il giorno delle nozze eri dentro un tutù rosa per danza classica in lycra e la gonna aveva solo cinque strati di tulle doppiato con paillettes! Hai scelto secondo il tuo gusto, in totale libertà. Però poi non devi recriminare”.
“Voglio restare su ieri sera. Ricapitolo non per fare polemica, bada bene, è un retaggio analitico. Dunque, abbiamo bevuto spumante, mangiato praticamente nulla per precipitarci all’ostello della gioventù. Trovare dei posti letto per quattro stranieri senza documenti, che non parlano né italiano né inglese, nel cuore della notte, non è semplice. Me lo concedi almeno questo punto?”.
“Parli così perché abbiamo attraversato Roma in tutta ansia e ti sei sentita anche tu una homeless appena sbarcata dopo una odissea miserabile e per niente epica in una terra inospitale e perché la portiera del furgoncino ti ha lacerato la stoffa del vestito”.
“Chiamalo pure furgoncino quello scassone a tre ruote! Un Ape Calessino arrugginito … L’avete rubato al commerciante di ortofrutticoli?”.
“Regime teocratico, regime del dollaro, regime del bunga bunga, frontiere di regime: stiamo discutendo delle economie nel baratro dei falsi miti, della plutocrazia, della fallocrazia. Che c’è? Ti è caduto il Corriere dalle mani, perché? Mi guardi con due occhi tondi tondi da peluche come Lady Gaga …”.
“Anche l’Italia bombarderà la Libia”.
“Ma no … Non sono bombe, sono razzi”.
“Avvertimi quando li chiameranno fuochi d’artificio”.

Ila di Melanila

lunedì 18 aprile 2011

ERA E ORA E SEMPRE


Alla vigilia di Natale

«Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale, noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre fuori, il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo:
perché tu ci sei davvero necessario.
»
Bertolt Brecht

mercoledì 13 aprile 2011

... NIENTE A CHE FARE CON I FAMOSI TRE METRI SOPRA IL CIELO DI MOCCIA!


«Continuo a toccarmi la testa. La sfioro e la tasto con le mani. Quasi ad avere conferma che stiano davvero ricrescendo i miei nuovi capelli. Mi piace sentire sulle dita il loro pizzichio impertinente e la loro giovinezza. A volte mi sento quasi come un’esploratrice, anzi mi sento proprio un’ argonauta giunta alla fine di una missione speciale. Anche se non ho ancora finito il mio viaggio sento che queste prime tappe mi hanno già fortificato. »
Cecilia Vedana in “A dieci centimetri dal cuore” descrive stanze e ambienti in cui ha dovuto sostare ma da cui avrebbe voluto scappare via, racconta in soggettiva l’esperienza traumatica della diagnosi del tumore al seno, l’intervento, la chemioterapia, ma soprattutto la guarigione. Ricostruisce con attenzione meticolosa le sembianze di dottoresse e infermiere che le hanno prestato cura con sollecitudine, la presenza allarmata del marito Lillo e della madre che  le sono stati sempre accanto.
Lo stile alterna brani di realismo descrittivo a concessioni intimiste, in cui la metaforizzazione riconduce alla lacerazione esistenziale. Eppure l’interiorità dolente rimane celata in una discrezione reticente e misteriosa. Nella pacatezza e delicatezza del tono, il ritmo piano del fraseggio è spesso accelerato dall’enunciato schietto che schiocca e percuote.
La collocazione dell’io è nello sguardo, nella facoltà di percepire senza appartenere del tutto al corpo, in una dimensione segreta, nascosta e protetta, in cui le sensazioni e i pensieri sono ovattati, giungono attenuati da un filtro.
Due occhi di bimba catturano le immagini del mondo, scrutano con curiosità e delicatezza persone affaccendate a parlare, fare. Interpretano e raccordano i segni del visibile.
Una lieve brezza scompagina il libro dei ricordi, un alito vitale ravviva il tempo dell’età dello stupore e dello slancio. L’infanzia torna in un rapporto di prossimità.
L’autrice raduna le memorie della primissima giovinezza, lo sforzo di cimentarsi con il greco antico il primo anno di ginnasio per imparare gli ardui fonemi che hanno cullato agli albori la nostra civiltà, la casa della nonna, l’albero del kaki, i larici delle Dolomiti bellunesi. 



Ila di Melanila

martedì 12 aprile 2011

Un nuovo capitolo del “Feuilleton de Noantri”


Au Souper ! 4.
È allo specchio, si guarda riflessa. Centra con gli occhi il suo viso, scorre rapidamente con lo sguardo il naso, la bocca, il collo, le spalle. Sente dentro di sé una conferma. Non vorrebbe, ma è così. La sicurezza di una piccola verità che le appartiene. La tentazione di evadere dalla cornice che trattiene la sua immagine, il desiderio di rompere gli argini di contenimento per essere altrove, ormai lo sa e non lo può negare. Non ama essere raggiunta. Non vuole presenziare, rendere conto, dare accoglienza. Non vuole essere trovata. Perché qualcuno dovrebbe prendersi cura di quanto in lei vi è di inconfessato, taciuto, nascosto, inespresso?
L’insalata Méchouia è facile da preparare. Quel che occorre è tutto in cucina: pomodori, uova, cipolle, tonno, c’è anche il pepe verde.
Cominciare a cucinare già dal pomeriggio, quando c’è tempo è gradevolissimo preparare la cena … No! Ha dimenticato la miscela di spezie … un sabotaggio! Per il kafteji invece ha tutto.
Interiormente puro e disarmante, fisicamente incombente, il marito la sovrasta. Quarantacinquenne francofono, romano di adozione, al suo cospetto il metro e sessantacinque senza tacchi di cui va fiera è irrilevante. Capirsi davvero bene, parlando con esatta dizione e proprietà di linguaggio, fa aumentare le ombre. Prendersi cura di lui come una mogliettina stile boom economico, ben contenta e operosa, non glielo può proprio chiedere!
Dimestichezza domestica, è una specie di scioglilingua che ripete per incoraggiare la poca esperienza che ha, la fa sorridere, è una specie di ‘Apriti Sesamo’ che dischiude un mondo fatto di belle tovaglie, peonie rosa nei vasi, pietanze nei piatti, gradevolezza.
Ludovica mise a friggere, in tempi diversi, le patate, la zucca, i peperoni tagliati longitudinalmente, le uova. Dimentica di sé, provò gioia. Gli automatismi casalinghi sono una vera benedizione, pensò.
 Ila di Melanila

lunedì 4 aprile 2011

LADY DADA PROPONE ...


« Ah, se questa mia troppo, troppo solida
carne, potesse sciogliersi in rugiada!
Ah, se l'Eterno non avesse opposta
la sua legge al suicidio! O Dio! O Dio!
Come tediose, e insipide ed inutili
m'appaiono le piatte convenzioni
di questo mondo! Che schifo! Che schifo!
Questo è un orto coperto di gramigna
che va in seme; vi sanno verzicare
erbe rozze e selvatiche, nient'altro.
»


Amleto