Pensò che fosse venuto il momento di darsi da fare e si prestò al volantinaggio. La pubblicità è l’anima del commercio, lo sanno tutti. Contribuiva così a diffondere la rinomanza di aziende con regalistica promozionale, depliants, buoni sconto. Sarà, ma dopo neanche un’ora e mezza interruppe la distribuzione dei foglietti informativi a discapito del business, affascinata invero dalla stampa di vetrofanie adesive, con tecnica serigrafica e ottima resa cromatica, di cui appunto leggeva. La studentessa fantasticava sulle vetrofanie monofacciali e bifacciali. Sul lato non adesivo viene stampata l’immagine rovesciata. In genere il fondo è costituito da materiale plastico oscurante, un PVC dello spessore di pochi millimetri. Il tono di bianco che separa le bifacciali deve impedire che le immagini si vedano in trasparenza. Per la resa cromatica si utilizzano inchiostri speciali.
Lidia amava le vetrate della cattedrale di Notre-Dame de Chartres e si incuriosiva di tutto ciò che costituiva un lontanissimo, anche improbabile, raccordo al cloisonné. Si baloccava con il concetto di cloison. Si struggeva persino all’idea delle celle monacali. Ricordava che su un supporto in metallo malleabile, prevalentemente rame con i bordi rafforzati in bronzo, veniva adagiato l’impasto di sabbia. La pasta vitrea fusa, applicata a caldo, detta “fritta”, di colore prevalentemente blu o verde, veniva compressa nella cella, esposta a cottura in un piccolo forno d’argilla, detto “muffola”. Levigata accuratamente, la patina traslucida del prodotto finito mostrava uno smalto felice, ben tenuto e catturato nella sua struttura.
Avrebbe voluto anche lei sentirsi incastonata e trattenuta per sempre, custodita entro confini amici.
Tornata nel suo appartamento, scrisse una fiaba, poi un’altra, e chissà quante ne avrebbe ancora scritte.
Felinfiaba
C’era una volta Formina, abitava in un giardino circondato da alte siepi. Il cielo era il tetto sulla sua testa, l’erba verde il tappeto per i suoi piedi nudi. La copriva di notte un intreccio di violette. La rugiada in una ciotolina la dissetava all’alba. Alberi da frutto la riparavano dal vento. A mezzogiorno mangiava le mele dei rami che, talmente carichi, poggiavano le foglie fino a terra, e non appena alleggeriti dei pomi si risollevavano in alto come fionde (gli uccelli appollaiati erano sempre un po’ scombussolati per il carosello all’ora dei pasti!).
Formina Formina chi vedo io prima? Nel riflesso del laghetto è tuo o mio l’aspetto? Sei per me gioia e diletto? O sei per me lacrime e dispetto?
Tre gatti erano la sua famiglia. Siccome la fanciullina aveva i baffi a torciglione e una lunga coda da procione aveva il sospetto di essere sorella dei felini. Ma il viso che sembrava uscito dalla bottega di un ceramista e i biondi riccioli la inducevano a ritenersi appartenente al genere umano. Le volevano bene Fauna e Flora. L’acqua gorgogliava in esultanza quando passeggiava nei dintorni di fiumi e fiumiciattoli. Le api le offrivano il miele, anche se il ronzio le faceva perdere l’equilibrio e roteava per un po’ fino a fermarsi. Le coccinelle le auguravano buona giornata ma la congedavano perplesse perché avrebbero preferito decorarle il décolleté facendo il girotondo intorno a testa e spalle atteggiandosi a parure di rubini: "Ma che ragazza austera!", borbottavano svolazzando. Le pecorelle facendosi coraggio le offrivano un po’ di lana: "Certo non è di ermellino, ma puoi accettare lo stesso, ti terrà caldo!". Dopo la buonanotte, i lupi andavano per i campi a ululare al chiar di luna distanti dal suo giaciglio, giusto per farle una cortesia e non disturbare il suo sonno.
Il guaio di Formina era questo qua: chiunque la incontrasse guardandola negli occhi non vedeva proprio lei, ma trovava l’immagine sua riflessa e raddoppiata come in uno specchio. Cioè a dire: il ladro di polli vedeva in lei un ladro di polli, la fata cattiva vedeva in lei una fata cattiva, il porcellino bugiardello vedeva in lei un porcellino bugiardello. Chiunque parlasse con lei, parlava con se stesso. Chiunque la odiasse, odiava se stesso. Chiunque la amasse, amava se stesso.
Come trovare scampo a questo destino infausto?
La fanciulla si sentiva attraversata dai venti. Avrebbe voluto avere una linea di contorno ben marcata per sapere chi davvero fosse e fin dove arrivava: alta, bassa, magra, grassa e così via. Un bel disegno che delineasse la sua figura. Ci voleva un pittore.
Cammina cammina si imbatté in un musico affamato e prima ancora di avvicinarsi per fargli una domanda ella lanciò un cesto pieno di ogni bendidio al poveraccio, che afferrò prontamente e si saziò.
Incontrò poi una vecchina curva e prima ancora di avvicinarsi per farle una domanda lanciò un cappottino di velluto, l’anziana signora afferrò prontamente e ringraziò.
Vide un giullare col berretto a sonagli poco distante, ebbe paura e scappò. Il buffone le corse dietro, la raggiunse e disse: "Cara fanciulla, non importa aver nozione certa di chi siamo, come siamo, se davvero siamo. Formina è il tuo nome e, vuoi o non vuoi, risponde alla vocazione che hai. Sagomare l’impasto di pasta frolla per i biscotti da infornare o la sabbia per i castelli in riva al mare, non è dato a te sapere!".
Formina Formina chi vedo io prima? Nel riflesso del laghetto è tuo o mio l’aspetto? Sei per me gioia e diletto? O sei per me lacrime e dispetto?
Ella digiunò, divenne blu per il freddo, e volle tornare al suo giardino.
Ingmar, Ingrid, Ingeborg, i tre gatti, la aspettavano a casa un pochino allarmati. Quando la videro, subito le andarono incontro, con quell’affettuoso suono sommesso che sono le fusa. Ingeborg si adagiò su un fianco e permise a Formina di accoccolarsi ben bene. Ingrid volle riscaldarle i piedini lividi e Ingmar, il felino più confuso o più buono (si credeva una mamma chioccia!), si accovacciò e la coprì aspettando che i malesseri guarissero con la covata.
Il giorno dopo Formina non riuscì più a udire la filastrocca, finalmente libera!
Ila di Melanila