L'ironia è dinamica

L'ironia è dinamica

sabato 5 febbraio 2011

ALFABETI DEL CUORE

DUE DONNE UN UOMO

Florence aveva trentasei anni, un’età che si presta a facili malinconie quanto a progetti arditi di riscatto, una vita che non si è ancora del tutto fatta avanti, pesante di ricordi insidiosi, desideri inespressi, felicità trattenute. Con i gomiti pressati su un vecchio tavolo di noce si godeva il profumo del caffè dilagare nelle narici, andandosi a depositare nella memoria olfattiva, raccordandosi alle mille promesse di felicità che si affacciavano ogni mattina complice la distensione della notte, nell’atmosfera di lento risveglio in cucina. Il tempo di una doccia, acqua gelata sulla pelle tonica e ogni sentore di calore umano scompariva nel blu livido delle labbra.
(Braccia conserte, dolore rimosso, vetro incrinato, questo era lei, sguardo spento, ventre piatto, mente assente).
Quella mattina sarebbe stata inconfondibile nell’infinita serie di mattine intercambiabili, aspettava l’arrivo del fratello Antoine, che sentiva suo più di se stessa. Quando parlavano, era la voce bassa di Antoine a scandire il silenzio, il suo respiro calmo a ritmare le parole, il suo umore incerto a condizionare le tonalità del discorso. Le emozioni affioranti sul suo viso erano, per Florence, le uniche a avere diritto di esistenza. Quel giorno, non sarebbe giunto a lei da solo. La missiva che annunciava l’evento conteneva un paio di foto che, disposte sul tavolo rosicchiato dalle tarme, lo ritraevano in compagnia di una ragazza sorridente, abbarbicata al suo corpo come edera, generosa di effusioni e di sguardi incuranti dell’obiettivo.
Nell’ingresso ampio della casa al piano terra, con le finestre aperte su un piccolo giardino di città, Anja, questo il nome della fidanzata di Antoine, le era sembrata incerta, timorosa, irrigidita accanto a lui. Osservava. Divorava con gli occhi la carta da parati, il mobilio, i tappeti, attenta a un qualunque indice di personalità che potesse rivelarle chi fosse a ospitarla. La mente indagava, scrutava, isolava, associava, mentre il corpo si rivelava goffo, impacciato, costretto a piccoli gesti che non sentiva - porgere la mano per il saluto, togliere il soprabito - perché la volontà era tutta intenta a elaborare i dati. La sensualità dell’abbraccio, nel verde puntinato di papaveri della campagna toscana, immortalato nel ritratto, sembrava dissolversi, perdere colore, fino a scomparire dalla memoria visiva e ridursi a una posa perfettamente ordinaria. A suo agio nella tunica di seta azzurra che lasciava scoperti i piedi nudi nei sandali, Florence ne ricavò un’insolita allegria. Ostinatamente si domandava se il rancore le  lasciasse scampo. L’uomo con cui aveva vissuto per cinque anni (l’ex marito) immise nel loro inesperto ménage ingredienti tossici, piccoli quantitativi di veleno. Smussato da una straordinaria sintonia intellettuale, il rischio sempre incombente di sopraffazione assunse la forma di una magnifica sfida tra i sessi. Il sogno di un gioco alla pari divenne ricerca di una indefessa accentuazione delle differenze di genere, lotta per una perfetta equivalenza di risorse, degenerò in ritorsioni ignobili. Il risultato dell’edizione aggiornata del peccato di Adamo e Eva fu una spontaneità interdetta. Il desiderio d’amore era qualcosa che sentiva, ma non aveva più il coraggio di verbalizzare, di pensare senza imbarazzo. L’emozione non aveva il tempo di radicarsi nel suo corpo, le faceva socchiudere le palpebre ma rimaneva nelle orbite oculari, riposta in una segretissima dimensione mentale, senza potersi diffondere e girare nel sangue. Riusciva a percepirsi come soggetto pensante, come coscienza vigile, ma non più come pelle sensibile. I ricordi di un erotismo libero si accompagnavano a inibizioni drammatiche. Solo una gioia puerile la animava di tanto in tanto. In un arrogante mondo di risposte e di sentimenti inequivocabili, si sentiva perduta. Quando il panico la chiudeva in una morsa e la opprimeva, decideva per l’immobilità totale, in un attimo era il blocco, l’interruzione. Si adagiava poi su un fianco, avvicinava le ginocchia alla fronte in posizione fetale e il tempo diventava un ricordo, assopito nel sonno. Dormire le giovava perché, senza bisogno di alterazioni chimico-farmaceutiche, si allontanava da oneri e incarichi gravosi, dalla fame e dalla sete, come da ogni consapevolezza. Sfuggita alle contingenze di ogni tipo tra le coperte, nella notte, nascosta a sé, si svegliava alleggerita, felice dopo ogni azzeramento, pronta a iniziare la giornata come fosse una nuova esistenza. A incuterle timore era la fidanzata del fratello. Temeva di passare in second’ordine, del resto era giusto così … Antoine non era mai stato completamente indipendente. Il viaggio a Budapest per Capodanno doveva celebrare un cordone ombelicale nuovamente tagliato. E così fu: conobbe Anja, attrice di teatro.
Antoine desiderava che le due donne si conoscessero. Individualità distinte, diversi temperamenti, entrambe indispensabili, con ruoli diversi e in conflitto, a volte le odiava, ma poi odiava anche se stesso. Anja gli faceva l’effetto di un mattone caldo sotto la mano, uno di quelli rossi che al sole brillano di un pulviscolo argenteo-dorato nascosto nei pori. Ogni volta che le prendeva le mani riceveva una stretta che l’avrebbe tenuto fermo e felice per secoli, tanto era sicura, ma non durava più di qualche attimo. Un’altra immagine che gli suggeriva era l’agilità di un’anguilla, che inseguita non si lascia afferrare, che a ogni costrizione oppone una violenta scossa di tutte le membra. E fango negli occhi del predatore. La sorella Flo era un’ametista, una pietra preziosa che protegge con i bagliori, che cristallizza in sé parole.
Anja pensava che Florence avesse la solidità di una roccia che volesse assorbire il tempo. Non le sembrava serena né conciliata, lontana dalla realizzazione che aveva cercato dopo la crisi del suo matrimonio. Del Tibet rimanevano ampi drappi, i grani ai polsi per pregare erano di fatto semplici braccialetti. L’irata insoddisfazione serpeggiante, celata, non sfuggiva a lei, Anja. Si stupiva che all’inquietudine non seguissero risoluzioni, inversioni di rotta. Era capitato anche a lei di non riuscire più a fare-volere-sentire, ma la paura di morirne era stata più forte della tentazione del fermo-immagine. Per non farsi intrappolare nelle maglie strette delle altrui menti ortodosse e dispotiche si abbandonò all’esuberanza vitale delle compagnie di giro. Metteva in pratica un amore di leggerezza che la arricchiva di ambiguità sibillina, facile a sciogliersi in un sorriso. Non rifuggiva oscillazioni ondivaghe di medusa agile, pronta a irritare chiunque non rispettasse la sua danza. Viveva sotto un velo trasparente, irrorato di ossigeno, pronto a cadere giù, come tela grezza, su un addio.

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