COMMENTO A “UNA PICCOLA NUVOLA” DI JOYCE
Racconto inserito tra gli altri racconti, che tutti insieme compongono un mosaico modernista raffigurante la gente di Dublino, “Una piccola nuvola” fa onore a un paio d’occhi, quelli di Joyce, piantati dentro l’umanità. Siamo al cospetto di un particolare tipo di sguardo d’autore, ineffabilmente imparziale e partecipe, legato ai sensi ma anche piombato nella coscienza. Il ritratto della società irlandese, secondo un vagabondare ‘surrealista’ per cui l’inconscio affiora e altera le fattezze solite, sembianze e ambienti, oscilla tra il figurativo e l’astratto. Da ciò che vediamo, un ‘vestito di tweed di ottimo taglio’ e da ciò che testimonia l’udito, un ‘accento impeccabile’, passiamo ad avvertire l’energia psichica di Gallaher, un uomo di mondo salutato dal successo. L’amico che gli aveva augurato buona fortuna, il personaggio citato sin dalle primissime righe iniziali, di cui sappiamo il nome solo dopo l’incipit che tratteggia entrambi, lo conosciamo come il piccolo Chandler. E ci addentriamo nei suoi pensieri che ce lo mostrano subito come emotivo, proteso all’incontro con il depositario delle molte qualità grazie alle quali si è distinto nella London Press Ignatius Gallaher. La descrizione fisica arriva subito dopo: ‘manine bianche’, ‘costituzione esile’, ‘voce pacata’, ‘maniere compite’ per Chandler. Lo schema è quello del contrasto: Gallaher e il piccolo Chandler non possono essere più diversi, rappresentano una netta scissione, due opposti modi di concepire l’esistenza e quindi di vivere. L’inchiostro della penna trattiene nella pagina la lenta formazione di un’immagine, che afferisce sia al visibile sia all’invisibile, prima la fisionomia poi le battute del dialogo. I due si confrontano sulle esperienze fatte, Parigi e il Moulin Rouge per l’uno, il matrimonio e un figlio per l’altro. Nel frattempo un’avvincente gara fatta di bicchierate, a suon di whisky, chiama anche il duello sul valore, sull’esercizio della virilità, tra uomini pare sia un luogo deputato dello stare tra amici. La scelta dicotomica torna nella ripartizione stessa del racconto che comprende una prima parte, l’incontro dopo otto anni, e il ritorno a casa del piccolo Chandler che nella sua mente è al cospetto di un’amara verità. Capisce che la portata dei suoi sentimenti non è completamente espressa. La moglie non sa quanto lirismo egli nasconda dentro di sé, non perde tempo infatti a rimproverarlo aspramente per averlo trovato col bebè singhiozzante al suo rientro dalle compere, senza considerare che lui, il papà, non aveva fatto nulla per causare il pianto.
Se Joyce è i suoi occhi, è allo stesso modo l’ascolto attento, il cantuccio silenzioso che ha scelto per nascondersi e trovare riparo. Pecca probabilmente nel voler rivaleggiare con lo stesso Dio, così intento a non pendere per l’uno o per l’altro, perché tutti capisce e da tutti si distanzia. L’aridità del cuore è il tema comune che riguarda i tre: Gallaher, il piccolo Chandler e la consorte. Di ciò Joyce ha profonda compassione.
Il silenzio è il quarto personaggio (infante escluso).
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