GUGLIELMIADI 6.
TI DIRO’ CHI SEI
D’estate il divano di velluto s’impone come una necessità: come imminente, incombente segno di cambiamento. Da oggetto diventa un’entità richiedente, ti interpella, ti interroga sul buonsenso e la ragionevolezza che dovresti sempre avere nella vita: ti impone di buttarlo via e di comprarne un altro, senza esitazioni. D’estate il divano di velluto equivale allo svelamento di un’evidenza: non tutto è migliorabile, l’utopia è un delirante illusorio esercizio cosciente di assurdità. Anche con un telo di lino sopra, i cuscini morbidi rivestiti di tale tappezzeria si infuocano e a sedercisi le membra sprofondano in un tepore indesiderato, che richiama un torpore alienante e confusivo. Quel guscio comodo offre un non-relax opprimente, ma adoperarsi a favore di un acquisto quando ci si dovesse trovare in condizioni psicologiche disagevoli è sconsigliabile. Un indifferente e robusto divano in pelle almeno ha il pregio di restare inalterato. Poiché tonico, non accoglie l’impronta del corpo. Non muta aspetto, non promette nulla che poi non possa mantenere, scolpito e fiero sta. La poltrona in vimini è generosa perché fa respirare le sue fibre aggrovigliate. Non del tutto indipendente, perché ha bisogno di cuscini che ne ingentiliscano la seduta, suggerisce di non star molto adagiati, giusto il tempo di bere una bevanda fresca e poi uscire. Funzionali sedie e sgabelli hanno un motivo fastidioso: evocano il concetto di necessità e di estemporaneità, un binomio inaccettabile.
Ludovica si crogiolava rallentando le parole in testa, voleva temporeggiare, indugiare. Ci sarebbe riuscita per un paio di giorni, poi il ritmo mentale vorticoso avrebbe ripreso a estenuarla avviluppandola, accelerando nel rapporto di causa e di effetto complesse problematiche. Avrebbe di nuovo avvertito il peso del mondo su di sé. I suoi muscoli spinoappendicolari avrebbero sostenuto un indebito sforzo facendo di lei un soldato cosmico ingaggiato in guerre stellari senza fine.
Il dotto precariato di Guglielmo la stava inducendo a odiarlo: sempre a studiare, sempre sui libri, lontano dalla battaglia, avulso dalle necessarie pratiche sociali che fanno delle public relations un modo per stare a galla. Si era assunta totalmente la responsabilità dello sponsale volume corpulento, dedito all’apprendimento. Avrebbe voluto urlare la rabbia contro l’idealismo impersonato dal marito, origine di tutti i suoi mali: ‘Hegel ci ha fatto fuori tutti!’, biascicava.
Semplificare, ridurre, dirigere: avrebbe ragionato sul da farsi, fino a vincere. Avrebbe scritto favole per bambini in cui le frottole - finalmente più temibili del lupo stesso - avrebbero rivelato il vero volto dei personaggi delle storie e delle avventure, avrebbe sottoscritto petizioni, avrebbe scelto il partito giusto e un sindacato. O avrebbe chiesto la separazione.
MADMADEMADMADEMADMADEMADMADEMADAM
“Da quanto attribuisci anima all’arredamento? Mi preoccupi”, sentenziò l’uomo con cui abitava.
A partire da quale momento, precisamente non lo sa, Ludovica interagiva con l’ambiente, senza ausilio di sostanze psicotrope. Non colloquiava con le piante, interpretava lo spirito che tutto pervade, anche il mobilio. “La Chaise Longue potrebbe non trovarsi bene da noi”, questa sola affermazione ebbe il potere di far scaturire un rigagnolo di sudore sul viso di Guglielmo, assorto e avvilito tra la gente loquace e indaffarata del MADEexpo di Milano. “Perché, se posso domandarlo?”, “Beh, non è mia intenzione privare Le Corbusier della sua gloria, ma quella struttura tubolare lucidata a specchio mette soggezione, è ineludibile il rigore elegante della sua struttura, impone l’imbarazzo del confronto con gli altri componenti del nostro scenario post-prandiale, qualora la comprassimo per il salotto. Invoca per sé un rispetto regale, una calma e una solennità da pezzo singolo: non si integra, non si integra ... i suoi moduli allungati favoriscono una distensione che non prevede parole da scambiare con nessuno. Presuppone il vuoto intorno a sé, il silenzio. La Chaise Longue non è snob, ma isolazionista sì, e freudiana purtroppo. Se poi è rivestita di vernice epossidica nera e di materassino e cuscino per la testa, è un inno al tratto marcato senza sfumature, ricorda più banalmente il lettino prendisole ma non siamo in vacanza! E chi può partire del resto? Che dire del Daybed di Mies van der Rohe? Con i suoi piedini cromati sancisce la fine della distinzione tra veglia e sonno, imperdonabile. Non vorremo nessuna Chaise Longue”.
“Costa molto invero”.
“Mies?”.
“Mies van der Rohe vuoi dire …”.
“Il Daybed”.
“Ma stiamo parlando della Chaise Longue!”.
“Voglio il fagiolo”.
“Perdonami?”.
“Voglio il sacchetto di fagiolo: la Beanbag di Lucy dei Peanuts”.
“Sono anni che dico di no, ti conosco più di quanto non conosca me stesso: tu odieresti la gomma piuma di memoria, inizialmente comoda ti sentiresti poi catturata dentro la sagoma informe, trattenuta in una trappola, mi chiameresti per liberarti da quella morsa e dovremmo trovare un acquirente su eBay perdendoci dei soldi tra l’altro …”.
“Allora la poltrona Joe di De Pas”.
“Niente affatto”.
“Perché?”.
“Perché ti sentiresti sicura come tra le mani di Dio, poi piccola e indifesa fino a regredire ai sei anni di età, faresti di quel guantone la tua casa, lo eleveresti a simbolo di protezione e rifugio, entreresti concettualmente in una zona di riparo da cui non usciresti più”.
“Totti Gol!”.
Ila di Melanila
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