L'ironia è dinamica

L'ironia è dinamica

lunedì 6 giugno 2011

LA VITA È IN SOGGETTIVA

Quella che segue, come le precedenti in questo blog, è una narrazione nata senza troppe ambizioni, per la necessità di popolare l’immaginazione di personaggi e piccole storie.

UNO IN TOTALE


Soffri per il peso improvviso che grava sul tuo plesso solare. L’intelligenza ammutolita, lì per lì, non aiuta granché, dichiara forfait. Potrebbe essere semplicemente ansia. Per te è una iattura. Rimani perplessa. 
Nel conciliabolo della tua coscienza, chiami a raccolta le sinapsi. Respiri a fatica e la voce esce smorzata. Stai attenta a non lasciar trapelare accenni benché minimi di sofferenza, perché non vorresti che il tuo carnefice cogliesse l’occasione per ribadire l’offesa. Lo sdegno, sì lo dimostri, con il silenzio, con lo sguardo, ma non parli, qualche battuta solamente.
Trascorso un po’ di tempo, ti concedi un’offensiva dialettica. Manifesti le tue opinioni, esponi le tue ragioni. Offri una diagnosi del male all’interlocutore freddo e impassibile, che non accoglie le tue parole e non ascolta perseverando nella negazione della tua persona. In termini di psicologia spicciola si chiama attraversamento di zone morte. Subisci accuse e una netta condanna, una sentenza inappellabile: non sei remissiva, non sei rispettosa.
Sei sola di fronte al dramma del mondo, gli occhi sull’abisso. Non è forse questa l’immagine romantica per eccellenza? La figura umana che si staglia senza il conforto di altra umanità su uno scenario che sovrasta in grandezza la sua spoglia mortale. Una persona che affronta individualmente il cataclisma, la sciagura, la rivelazione del mistero, questo è sublime. Un eroe tragico senza la presenza del coro, questa è la solitudine. Tu, per alcuni momenti, ti senti così. Si potrebbe obiettare che è un’esperienza comune. Per alcuni momenti, quando la vita offende in modo massiccio la tua sensibilità, avverti il tuo ‘io’ scorporato da tutti gli altri: da quanti inalano aria per esistere, da quanti camminano, ridono, parlano, ascoltano, cucinano, piangono, amano. Senti la fenditura aprirsi, la lama affondata, dall’esterno, ti lacera il cuore. Nell’adolescenza crollavi, morivi dentro. Adesso non più, accusi i colpi del destino senza disperare, cerchi una chiesa e ti metti in contemplazione di un’icona di Maria, provi a comunicare con il Crocifisso.
L’incrinatura che comincia a fare smagliature nell’anima a un certo punto si ferma, almeno non prosegue, ma vena d’incertezza il tuo sentire. Poi meglio, senti il bisogno di conforto, ti avvicini ai tuoi cari, rendi trasparente e leggibile la vulnerabilità del tuo essere.
Piano piano riacquisti la tenerezza e la dolcezza dei sentimenti più profondi che ti legano alla famiglia, i vincoli del sangue ti garantiscono la ripresa. Sei colta di soprassalto, ti attraversa la mente la corrispondenza tra alcuni precisi stati d’animo e le combustioni di Alberto Burri, un artista con cui devi essere in rapporto di affinità elettiva. Le sue installazioni descrivono l’implacabile aridità, prima meteo, poi quasi metafisica, della superficie divisa del cretto. La plastica ustionata mostra indifferentemente la prova del fuoco subita, l’estinzione della compattezza del tessuto sintetico, la risposta della materia all’intervento laborioso della creatività.
Hai bisogno di idratazione, acqua da bere che ti disseti, acqua in cui nuotare che ti accolga nell’abbraccio levigante di moti calmi. Torni a muoverti senza appoggi muscolari, come un feto nella culla del liquido amniotico, al ritmo del battito cardiaco, e nuoti. Esci dal mare, l'estate il tuo corpo svestito è in piena evidenza. La tua figura tornita indica il bersaglio. Se la ripetitività ipnotica della risacca marina mitiga il timore dell’imprevedibile inscritto nei sensi in allerta, cominci a detestare la leggibilità senza scampo delle tue membra. Seno e cosce acchiappano gli esuberi di malizia dei bagnanti, come gli orsi il miele. Temi l’arrivo della tempesta, inattesa dai più. Per lo sguardo pigro di un estraneo, tu sei lì, ciò che vede e niente di più. Prime avvisaglie di pioggia, il cielo è coperto. Una goccia. Temporale. Magnetico.
Non so come, ma l’hai fatto. Ti sei incapsulata dentro te stessa, come un dente nel suo rivestimento in ceramica integrale. La foggia esterna dissimula, nasconde, migliora, peggiora la sostanza interna. Sei costituita di sole fibre nervose, altro rispetto alla forma tangibile, riconoscibile.
A volte la percezione di te stessa non risponde al genere sessuale a cui appartieni, né al ruolo di figlia in casa, né alla professione o ai titoli di studio, ma alla sola sensazione di essere cucinata a puntino dalla vita, un po’ come l’orata dentro il cartoccio. In alcuni momenti, seduta in poltrona a guardare un punto fisso nel vuoto, potresti essere chiunque. Sperimenti una sorta di anonimato nel municipio del tuo cranio, vaghi senza documenti sulle vie dell’inconscio, psiconauta senza mappe.
L’esperienza di perdersi, parlando più o meno letteralmente, ha un che di buono. Ami ritrovarti, ami ritrovare gli altri, non tutti gli altri, ma alcuni altri. Senza muovere un passo, sei una girovaga itinerante, una nomade credente e perciò pellegrina, una errante dedita alla 'flânerie'. Se poi si considera un minimo sindacale di romanticismo involontario, il mondo, ovunque spiri lo spirito dei tempi, compatibilmente con il genius loci, potrebbe essere la tua casa. La nostalgia di Pessoa è anche la tua, la sua patria sarà anche la tua.
Sei dunque vuoi. Vuoi compiere un esodo da te stessa, fino a non essere più, ma poi decidi il contrario, perché ci si debba pentire di esserti contro.
Non sempre la sostanza è la ciccia. L’aspetto burroso, barocco, della tua persona tradisce un processo di essiccazione non rilevabile con gli occhi, angolosità acciarine incomprensibili senza la mediazione del logos.
Leggi Leonardo Sciascia, ma sei ancora impastoiata con le implosioni di Maria Messina.
Trovi che gli esseri umani di genere maschile siano, spesso, noiosi, e le donne grulle: amano e sperano di essere amate, sempre.
Tinuccia, l’isola in cui sei nata ti castiga, ma tutto il mondo è paese. L’estensione geografica della terraferma e ciò che vi accade conferma le tue idee: le persone che vi abitano su, i criteri per discernere il bene e il male, le finalità dell’esistenza, più o meno tutto passa al vaglio della mente di un maschio che si adopera a decretare, mettere in pratica e imporre un implacabile ‘antropocentrismo fallico’ di marca pagana. Una donna è buona o cattiva a seconda del bisogno intrinseco alla vita di coppia, cioè alla salute psicofisica del partner che, si diceva un tempo, porta i pantaloni. Tra i fondamentalisti, se il maschio gradisce la femmina allora la prende con sé. Siccome è geloso e possessivo la copre buttandogli addosso un velo e la nasconde agli occhi di potenziali antagonisti, essendo una sua proprietà inalienabile. Se è particolarmente caloroso la riempie, come un vaso; otre di creta, la carne di lei contiene il figlio, si apre e lo fa nascere.
Parola d’ordine per le donne del Sud? Ritenzione (idrica) e ritegno. Chi ha diritto a mangiare di più a tavola? Chi può vivere la sua pubertà con autorizzazione alla pratica senza diniego? Chi può godere di premure volte a preservare la totale libertà della barra (scambiata per cornucopia e la fortuna pare dipenda dal suo corretto uso)? Chi è esentato dalla collaborazione domestica perché le faccende equivarrebbero a una insopportabile deminutio? Chi è il preferenziale addetto al silenzio (che in Sicilia è d’oro)? Invece, chi riceve meschini ridimensionamenti dei diritti civili (quando ne esista nozione)? Efficienza e operatività inchiodano le donne alla praticità del vivere quotidiano, tempo per astrarsi non ce n’è.
Se Amleto si lamenta della mutevolezza cangiante, vanesia e artificiosa della donzella e ammonisce Ofelia di entrare in convento, scopriamo per esempio che il controverso costume di mettere il belletto e migliorare l’aspetto con il trucco è vivamente consigliato nella Bibbia: se la cura di sé tiene desto l’interesse del marito per la moglie. L’astinenza casta della giovane promessa sposa le consente di essere chiamata a nozze, tempo una notte ed ella deve trasformarsi in consorte disponibile alla fecondità con ventre generoso: da un’abilità a un’altra abilità!
L’esatta comprensione delle Scritture risulta fondamentale per ogni donna. Capire se Eva sia nata in seconda battuta come complemento funzionale di Adamo o sia nata per misericordiosa concessione divina, come ennesimo segno di benevolenza dell’Altissimo, non è di marginale importanza. Prendendo le mosse da san Paolo, se ella debba considerarsi subordinata all’autorità del pater familias o supina in ragione ultima di solidità quanto al nucleo familiare, vale a dire sotto i piedi per indegnità o sotto i piedi come  roccioso pavimento, è oggetto di fervida speculazione. Quand’anche nel matrimonio si comprenda la bellezza di porsi al servizio, come Gesù insegna nel Vangelo, ebbene questa facoltà di donarsi con amorosa dedizione sembra riservata a lei sola, lui riceve, privo della possibilità di qualsivoglia reciprocità, perché all’atto pratico è legato a doppio filo all’affermazione della sua virilità, che sarà declinata anche nelle varie specialità professionali, sociali in senso lato. La capacità affettiva sembra relegata all’esclusività del gineceo, non spendibile dentro casa o fuori casa se vigente è la legge della giungla.
Generare è proprio dei coniugi, procreare lo può solo lei. L’utero è la culla del feto, il canale del parto è l’ingresso per il piccolo non ancora nato alla vita, alla luce. Il bebè vive solo di amore, da solo non può nulla.
Tinuccia, sei un tipo ‘childish’, ti hanno detto che sei childish’, è vero, è così.

Ila di Melanila

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